Mi sento bene

L’idea dell’albero di Grafite è nata durante il lockdown leggendo questo articolo di Maurizio Blatto su Rumore. Ringraziamo Maurizio e la storica rivista musicale per avere concesso questo articolo al nostro sito. I dischi hanno tenuto e sono parte di noi

A che cosa pensi? Non vuoi uscire a fare due passi intorno a casa? Diventare un oggetto è stata la mia ginnastica quotidiana, provare a essere una scatola di cartone che sorride quasi un traguardo zen. Volevo essere immobile e fare un’unica cosa: ascoltare la canzone omonima degli Slowdive. Senza mai smettere, provando quell’unico piacere e basta. Soltanto quello. Non credo forse la paura, temo sia stata l’opportunità di fermarmi. La terrificante bellezza di un cosmo immobile, il vergognoso pensiero è per me andasse bene così, che fosse sufficiente. E che il mondo fuori mi stesse dicendo: “Lo so che in fondo non ci hai mai apprezzato, che non siamo stati neanche lontanamente all’altezza delle tue aspettative, che ti abbiamo sempre deluso e amareggiato. Che non ti piacciamo”. Allora posso stare qui? Tutto quello che è successo non può non avere esasperato la nostra sensibilità, la percezione collettiva di noi, che sono stati smontati pezzo su pezzo dei nostri ascolti. Durante questi giorni di chiusura abbiamo celebrato noi stessi. O almeno, buona parte di noi lo ha fatto nel modo corretto, cioè anonimamente, ma sapendo che, altrove, qualcuno stava compiendo esattamente i suoi stessi movimenti. Perché, come mi ha detto un amico appena ci siamo rivisti, “i dischi hanno tenuto”. Quanto è vero. Il calcio è morto, il desiderio di rimbalzare da una parte all’altra del mondo è sopito, le voglie sono state ridimensionate, leggere era difficile, dormire una fatica. Ma i dischi hanno tenuto. Ci hanno confermato che avevamo fatto le scelte giuste, mentre eravamo soli e distanziati sono stati loro e soltanto loro a tenerci uniti. Non era il faccione istupidito nel rettangolo di uno spot a spiegarcelo, ma il basso di Nick Chaplin che entra dieci secondi dopo la corona di chitarre di Slowdive. Cos’altro abbiamo fatto se non un’immersione lenta dentro di noi? Slowdive, you can’t touch me now. Non puoi toccarmi ora. Le chitarre sono l’annuncio di un tornado. Apri le finestre lo senti, lo annusi. Sta arrivando. Ma in Slowdive rimane lì, lontano, e non per questo fa meno paura. Un’onda è più pericolosa quando monta la sua cresta o quando si abbatte? Sto spingendo verso il basso, mi sto tuffando in profondità. Si mi tuffo lentamente nel mio sogno. Mi sento bene, si, mi sento libero.

Maurizio Blatto

È nato a Torino nel 1966 ed è cresciuto all’interno della sua collezione di dischi. Firma storica della rivista musicale «Rumore», è rintracciabile ovunque si discuta di pop indipendente inglese. Per Castelvecchi ha pubblicato L’ultimo disco dei Mohicani. È stato definito il «crooner del giornalismo musicale».

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