Esiste un ritmo “Prodigy”, capace di raggiungerci non grazie ai decibel sparati da impianti ipertrofici, ma tramite la comunicazione intima e violenta di un racconto? La risposta, nelle parole di Rossana Mitolo.
Mancava dalla fiera da tre anni. Era ancora buio quando si alzò per andarci. La luce bianca della cucina, un pugno in testa. Poi il caffè la lavó e le mise su i vestiti. Voleva arrivarci presto, per scegliere il meglio. Cercava una capra, per farne ricotta. Di quella che puzza, e che a molti non piace. Avrebbe munto le mammelle dell’ animale, con le sue dita disossate. Le mammelle andavano strizzate con forza.
L’avrebbe chiusa nella stalla, sola, al buio. E poi l avrebbe uccisa, dopo il primo fuscello di ricotta. Un solo fuscello voleva da lei, perché un solo regalo avrebbe fatto. Un solo regalo, ad una persona sola. Gli avrebbe offerto la sua prima ricotta di capra. Quella, e solo quella. Perché altro non poteva dargli. Perché altro, lui, non poteva volere. Un fuscello di preziosa ricotta di capra. La prova del suo amore.
Arrivò alla fiera che i maiali grugnivano e più di un asino ragliava. Arrivò alla fiera che aveva fame di pane e salame. Allora comprò un maiale, tornò a casa e lo sgozzò, con la migliore lama che avesse. Ne avrebbe fatto un salame, per saziare la sua fame. Non aveva mai sgozzato un maiale, ma sapeva bene cosa fare. E nulla andò come non doveva andare. Finì, si lavò tutta, mangiò un panino vuoto e tornò alla fiera, che gli asini ancora ragliavano. Girò tra i legni e le gabbie per un po’. Annusò, guardò, si fermò. Vide un bancone che vendeva ricotta di capra. Ne chiese un fuscello di mucca, lo ebbe, e lo comprò, per mangiarlo con lo zucchero, insieme al salame. Tornò a casa, e lo conservò, accanto alle carni del maiale morto.
Aveva fame, andò in cucina, e in tre morsi masticò tutto il secondo panino, vuoto . Tornò alla fiera, che gli asini non ragliavano più, ma le capre belavano ancora. Girò tra i legni e le gabbie. Guardò, annusò, si fermò sull’occhio di vetro di un fattore . Sono allevate a terra, sono buone. Dammene venti, le voglio bere dal buco. Tornò a casa, e di buco in buco ne bevve otto. Il resto lo mise in frigorifero. Prese le chiavi della macchina, entrò in bagno e disgustata vomitò, tuorli e albumi. Si lavò con il sapone. Dallo scaffale della cucina, prese il terzo panino e lo mangiò. Vuoto.
Tornò alla fiera, che i cani strisciavano coi musi sull asfalto, e qualche gabbia ancora reggeva, insieme ai belati stanchi e a qualche altro muggito. Si fermò a pensare. Si guardò ancora intorno. Ma proprio niente le svelava il perché quella mattina si era alzata così presto per andare alla fiera. La testa era vuota. Inutile restare ancora. Allora sbuffó, sollevò le spalle, si mise le dita in tasca, e piena di fame si incamminó curva, verso la piccola porta della stalla.
Rossana Mitolo

Rossana Mitolo ha sempre avuto una relazione instabile con la scrittura. È cresciuta a Taranto e ora vive a Bari, dove insegna Italiano e Storia in un Istituto tecnico. Ha condotto laboratori di scrittura creativa e di lettura e ha pubblicato racconti vari su riviste e antologie. Ha collaborato alla stesura della sceneggiatura del film partecipato “Quello che conta” e pubblicato la raccolta di racconti “Il cefalo dai capelli rossicci” (I sognatori). Ha co-condotto Grafite, trasmissione radiofonica di musica e letteratura e moderato diversi incontri con scrittori. Attualmente segue un corso di scrittura cinematografica e sta per cedere agli ammiccamenti della sua penna.