La voce di Isaac Brock dei Modest Mouse può avere il potere di risvegliare. Si insinua dentro e rivela una realtà difficile da accettare
Entriamo al Circolo degli Artisti, mano nella mano, la osservo e il suo umore mi sembra buono. Cercando una conferma, la tocco sotto le ascelle e lei ride, ho imparato che basta farle il solletico per smascherarla, se ride vuol dire che sta bene. Butta persino giù un paio di sorsi della mia birra.
Sono le dieci di sera, ora, le dieci di una serata stellata di quelle coi fiocchi e c’è una temperatura perfetta, quando i Modest Mouse aprono il concerto con l’arpeggio, semplice semplice, di Sleepwalking. Ci stringiamo al centro di un’arena circondata da pini e olmi, io e Vittoria, a ridosso di un tratto ben conservato dell’acquedotto romano, accarezzati da un arpeggio che non si vergogna di suonare come quello di una canzonetta romantica anni 50. La chitarra di Johnny Marr ha aggiunto una dose di pulizia e delicatezza al sound della band e tutti gli altri sembrano essersi accodati. “I fell in love and I needed a roadmap.” Isaac Brock canta in modo selvaggio e innocente, lui non è uno che si risparmia e se continuerà così avrà una carriera breve. La sua voce viene comunemente apprezzata per la caratteristica ruvidità gastrica, io l’adoro per gli squarci di tenerezza, per la capacità che ha di essere dolcissima senza risultare ingenua o stucchevole. “To find out where you lived.” Siamo sotto un tratto ben conservato dell’acquedotto romano, dunque, assieme a qualche centinaio di giovani romani della nostra età, giovani dall’aspetto piacevole, visi puliti che non conoscono colpe o rancori, in una serata fresca e stellata, stretti stretti, io e Vittoria, il mio ventre sulla sua schiena e il palmo della mia mano che accarezza la cima della sua testolina, nell’aria c’è un profumo di borotalco e i Modest Mouse suonano il loro primo pezzo, la voce di Brock sembra capace di raggiungere chiunque ovunque e rompere qualsiasi tipo di solitudine o di durezza, e siamo circondati da alberi buoni e gli spalti del cielo sono gremiti di una folla di belle stelle, tutti cantano e qualcuno balla con movimenti morbidi. Siamo – sto pensando – nel bel mezzo di un raro momento perfetto, se non fosse per le dita zoppicanti del secondo chitarrista, nel bel mezzo di un incanto di cui esser grati, e sto per chiederle “sei felice?”, quando lei si scuote, si gira di scatto, mi getta le braccia al collo e affonda il viso nel mio petto: – ma dobbiamo vivere così per sempre? Per tutta la vita? Non torniamo mai mai più a casa? – Sento la maglietta che si bagna, mi stringe forte e non riesco a scostarla. Parla come se avesse una spina incastrata in gola e anche Brock, anche lui ha la stessa spina. La sua voce si spezza su un acuto. – Per tutta la vita, Giò? Io non voglio stare per tutta la vita qua, io non ci so stare qui, non abbiamo nessuno qui. Perché mi hai portato qui, perché qui? Riportami a casa, riportami a casa, riportami a casa, riportami—
“Sleepwalking. Cause I’m sleepwalking.”
Maurizio Cotrona

Nato a Taranto nel 1973 , nel 2005 pubblica il romanzo Ho sognato che qualcuno mi amava, nella collana diretta da Michele Trecca (Palomar, Cromosoma y), nel 2011 il romanzo Malafede (Lantana) e, nel 2015, Primo (Gallucci HD).
Membro dell’associazione culturale BombaCarta e maestro della scuola di lettura per ragazzi Piccoli maestri. Il figlio di Persefone (Elliot edizioni, 2019), è il suo ultimo romanzo.